(A sinistra) Il medaglione, ritratto a lapis nero su tela, cm50x40, 1964 - In questo ritratto l'artista ha tradotto il suo ideale di bellezza femminile: suggerito da un vecchissimo dagherrotipo, interamente rovinato, dove potevano ancora distinguersi un occhio e una ciocca di capelli che, evidentemente lo hanno ispirato. Così ha ridato un volto e una vita ai resti di quell'immagine, attingendo alla sua sensibilità e alla sua forza espressiva. Ne è scaturita una enigmatica dolcezza che è stata rivestita di un costume ottocentesco e che trasmette intera, nella struggente malinconia dello sguardo, la sua sconosciuta e misteriosa personalità. |
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(Al centro) Due Putti, in atto di raccogliere l'uva - bassorilievo in gesso bronzato, cm 60x80, 2002. Il tema dei Putti è ricorrente nelle sculture dell'artista. Si vedano le due lunette: I Putti musicanti e I Putti vendemmiatori. |
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(A destra) Pioggia di sera, olio su tavola, cm 35x50, 1980 - In questa scena di pioggia e di luce le figure dei viandanti vanno verso un fondo di nebulose fusioni, che contrasta ed esalta i colori degli ombrelli e i liquidi riflessi del paesaggio. Quello degli orizzonti fumosi ed incerti è un modo d'intendere l'ambiente pittorico che l'artista più dettagliatamente illustra con le parole sotto riportate: "... al di là degli indefiniti orizzonti sta l'infinito, il luogo del mistero e del silenzio, dove vivono i sogni. Laggiù sopravvive qualcosa che va ben al di là dell'idea e della forma, qualcosa che noi tutti portiamo, inconsapevoli, nella sconosciuta terra dell'anima: la Poesia. " (Anchise Picchi) Se qualcuno possiede questo quadro: "I pagliacci licenziati" - tecnica mista su tavola (è l'unico, con questo soggetto, eseguito con questa tecnica), è vivamente pregato di contattare il curatore Lido Pacciardi (lpacciar@alice,it). Se ne vorrebbe conoscere la destinazione per avere una fotografia ad alta risoluzione onde inserirlo nell'archivio delle opere del maestro, attualmente in fase di completamento. (Grazie) |


"Mi ricordo che da piccolo – avrò avuto circa 5 o 6 anni – ero solito andare, appena sveglio, lungo i viottoli del podere delle Capanne, in quel di Crespina, dove abitavo, divertendomi a tracciare semplici disegni sulla sabbia invitante e incontaminata del mattino, levigata dalla rugiada o da una leggera pioggerella notturna… Ero giovanissimo, allora; ero bimbo e, come tutti i bambini, vivevo di sogni. Con l'ingenuo sentire dei fanciulli avvertivo la serena bellezza della campagna: il canto degli uccelli, i cieli mutevoli di primavera, il colore cangiante delle vigne e degli oliveti, le voci lontane, il risvegliarsi di una natura che sapevo amica… Così mi imprimevo nella mente e nel cuore i suoni, gli odori, le visioni di quell'ambiente dove ero nato e al quale mi sentivo profondamente legato. Una mattina promisi a me stesso che avrei osservato qualcosa da ricordare per sempre. Qualcosa di bello, di particolare, di caratteristico, che mi avesse potuto parlare, per tutta la vita, dello spirito dell'ora e dell'anima di quell'ambiente che in quel momento vivevo. Fui attratto da un ciuffetto di fili d‘erba sul ciglio del viottolo, che gli umori notturni avevano impreziosito di alcune gocce di rugiada scintillanti nei primi raggi del sole, tremuli diamanti nella leggera brezza del mattino. Li guardai affascinato e promisi a me stesso che non li avrei più dimenticati… Dalle ombre lunghe della sera li vedo ancora, vivi e splendenti, come a illuminarmi la via". (Anchise Picchi)
Considerazioni sull'arte di Anchise Picchi
In queste semplici parole, in queste sensazioni ingenue, primitive e pure sta e vive la concezione e lo spirito dell'arte di Anchise. Se è vero che ognuno di noi è anche quel che è stato, se in noi rivive il passato che guida, condiziona e regola gli atti e le opere del presente, formando così l'animo nostro e disponendoci ai sentimenti più veri e profondi, allora quei particolari momenti dell'artista-bambino, quel lirismo delle cose e del paesaggio, quell'animismo di fanciullo osservatore e già poeta, non può non essersi trasferito e aver assunto corpo e valore di “arte” in tutta l'opera successiva della sua vita. E quando poi s'è rivolto alle fatiche e al dolore delle sue figure di contadini e di braccianti, di emarginati e di deboli, quando ha sentito di descrivere le opere e i ritmi della sua campagna, l'ha fatto con lo stesso intenso sentire, con la stessa primitiva ed innata capacità di indagine e di sintesi. V'è, infatti, nei suoi quadri e nei suoi personaggi, quel sentimento sincero, spontaneo e profondo del tempo e del luogo. E' un avvertire la vita in modo francescano, quasi mistico, dove la fatica e il dolore non assumono mai la crudezza o l'oscenità della cronaca, ma sono sempre vissuti e proposti attraverso il filtro d'una poesia che li dislega da qualsiasi contingenza storica e da qualsivoglia particolarismo descrittivo, che potrebbe limitarne il valore e il significato, universalizzandoli invece attraverso un'anonimia che li proietta e li mostra intatti sulla scena della vita e del mondo. Non c'è solo storia nelle opere di questo maestro, ma essenzialmente idealità, emozione, partecipazione, sogno e invenzione; vi si ritrovano, trasfigurati dall'arte e quindi più veri, i legami antichi e indissolti di un'umanità che si muove con geloso pudore lungo gli aspri ed ignoti sentieri dell'esistenza, in un ambiente che respira con i protagonisti, soffre con loro, vive con loro, umanizzando perfino gli animali che di quell'ambiente sono parte fondamentale e costante. Eppure la riconoscibilità di quei personaggi li fa sentire a noi prossimi; il loro animo ci parla, la loro sofferenza è la nostra. E noi li riconosciamo e in loro riconosciamo i nostri padri e noi stessi e i nostri affanni. Il mondo agreste ha ispirato gran parte dell'opera di Anchise, quasi fosse un luogo sacro per l'anima. In quel mondo è venuto alla vita, di quello ne porterà per sempre il sapore. Ma quel mondo e le sue vicende, le figure che là operano e si muovono, divengono immediatamente l'archetipo di una storia più vasta, che ritrova nella condivisione del dolore e nella difficoltà del vivere la marca universale che li rende attuali, proiettandoli ben oltre le delimitazioni del momento e delle loro caratteristiche operative e storiche, fin nell'attualità del tempo che ora ci appartiene. E questo è il mistero dell'arte: quello, appunto, di parlare l'eterno linguaggio dello spirito, scavalcando improvvisamente razionalità, ordini, pregiudizi, contemporaneità e classificazioni, per attingere, appena ne colga la possibilità, i recessi più sensibili della nostra umanità, ove anche i condizionamenti culturali più rigidamente seguiti od imposti e le relative caratteristiche di spazio e di tempo, possono raramente spegnere del tutto i pur tenui bagliori di un comune sentire e dove i ricordi, così estratti e separati dalla storia e nuovamente elaborati e mediati dalla fantasia e dal sogno, acquistano nuova vita risvegliando e trasmettendo per intero echi più antichi e più fresche emozioni. (Lido Pacciardi )
Visita anche il sito: http://www.favolesopo.it (Esopo in Toscana, di: Lido Pacciardi Tutte le favole esopiche conosciute, in versi)